Buona Pasqua, Gualandriani - di Vittorio Camacci
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Vi auguro di perdere tempo.
Fermatevi a chiacchierare con un amico anche se siete assediati dalle incombenze quotidiane.
Perché la vita, depurata di tutto ciò che è urgente, ma paradossalmente non essenziale, alla fine si riduce a questo, all’amore che siamo stati in grado di ricevere e donare.
Lasciatevi sedurre dal profumo di erba tagliata e fiori selvatici che si mescola all’odore del pane caldo nei borghi della Laga. Rallentate il passo. Assimilate quell’odore buono che sa di primavera e di casa.
Godetevi un bicchiere di vino rosso seduti su un muretto di pietra, con il sole tiepido che accarezza la pelle e il vento che porta con sé il suono delle voci di chi sta ancora raccontando storie antiche sotto il portico di una vecchia osteria.
Ritagliatevi un attimo per osservare la sera che scende sulle montagne, quando il cielo si tinge di rosa e lilla, e le ultime luci del giorno accarezzano le cime innevate che resistono al cambio di stagione. Giocate a dare un nome a ogni colore che sfuma nell’aria, osservate il viola dissolversi nell’azzurro prima che la notte si impossessi di tutto.
I tramonti di aprile durano quanto una carezza, un battito di ciglia, una promessa sussurrata, ma sono bellissimi. Forse proprio perché effimeri.
Ci ricordano che la bellezza palpita più potente in ciò che è provvisorio.
Prendetevi tutto il piacere possibile.
Da un bicchiere di vino, un libro, una sinfonia o un corpo.
Anche se è il vostro.
Perché il tempo perso è guadagnato.
È un regalo che facciamo a noi stessi, un piccolo atto di disobbedienza nei confronti di una società che ci vuole efficienti, ma distratti, che ci insegna a fare mentre disimpariamo a sentire.
Vi auguro di perdere la strada.
Perché raramente ci si imbatte nella bellezza se non si ha il coraggio di abbandonare la via maestra. Basta mantenere lo sguardo libero dal pregiudizio e allenato al dettaglio. Ricordiamoci che anche negli interstizi tra le rocce si annidano i fiori, che un luogo apparentemente inospitale può farsi culla. Dopotutto le rocce si scaldano in fretta, basta un raggio di sole, nelle fenditure il vento non riesce a entrare.
E poi chi lo ha detto che nella vita bisogna per forza arrivare da qualche parte?
Non è la meta, ma gli incontri che facciamo, a dare un senso al viaggio, a trasformare in un’emozionante avventura quello che altrimenti sarebbe solo un confuso vagare.
Vi auguro di perdere la testa.
Di concedervi una piccola follia.
Come restare a camminare tra le stradine acciottolate di un borgo della Laga fino a notte fonda, anche se domani non è un giorno di festa, solo per guardare il cielo stellato senza pensare a niente.
Cambiate lavoro, paese, abitudini.
Soprattutto cambiate sguardo.
Per una volta, una soltanto, tradite la sicurezza per la passione.
Spogliatevi, non solo dei vestiti, ma di tutto ciò che si frappone fra voi e i vostri desideri.
Ci viene insegnato che i desideri a partire da una certa età non hanno più cittadinanza, così finiamo per svuotarli della loro potenza salvifica etichettandoli come capricci, fantasie di ragazzi destinati a evaporare al sopraggiungere della maturità.
E invece i desideri sono la chiave per aprire le stanze segrete della nostra anima o, fuori di metafora, la via per incontrare noi stessi.
Per accorgerci che alla fine siamo umani e nulla di ciò che è umano è estraneo alla nostra natura.
Vi auguro di perdere le vostre certezze per imparare che dopotutto nella vita le domande contano più delle risposte.
Privilegiate la fatica del dubbio all’arroganza della verità, che forse il Male non esiste, ma di certo Dio sta dalla parte del Festival Culturale dei Borghi Rurali della Laga.
Vi auguro di perdere.
Di perdere e di cadere perché la sconfitta è maestra di indulgenza. È attraverso l’inciampo che impariamo a ridimensionarci e a liberarci dalla tentazione di crederci invincibili.
Non sono le nostre vittorie a definirci, non più di quanto lo siano le nostre sconfitte, ma le battaglie che scegliamo di combattere.
Vi auguro di perdere i vostri compagni di viaggio se a tenervi insieme è solo la paura di restare soli o l’abitudine.
Ché la vita, si sa, è un’altalena di incontri e di addii, di foglie che cadono per fare spazio a nuovi germogli in una rincorsa incessante fino a quando non arriverà l’ora dell’ultima stagione.
Vi auguro di perdere il risentimento.
Non importa quali e quanti torti avete subito, il rancore è comunque una zavorra troppo pesante da portarvi dietro, vi ancora al passato e nega il futuro.
Se proprio deve succedere, vi auguro di perdere tutto, purché non perdiate mai voi stessi.
Anzi, cercate di tenervi stretti e di volervi bene con tutti i vostri spigoli, le vostre imperfezioni e le vostre idiosincrasie.
Che se ci riuscite voi ad amarvi poi riesce facile anche agli altri.
Non a tutti ovviamente.
Solo a quelli che contano davvero, quelli a cui, senza retorica e non per mera formalità, vale ancora la pena augurare una buona Pasqua!
Vittorio Camacci
Equivoco pasquale - di Vittorio Camacci
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La Pasqua era arrivata con il suo carico di attese, speranze e piccoli rituali che scandivano la vita della comunità di Spelonga. La chiesa di Sant'Agata, modesta ma intrisa di fede e memoria, si preparava a un giorno speciale. Don Paolo, con la sua voce vibrante e una volontà d'acciaio, aveva deciso di invitare un frate predicatore per la messa solenne. Non era una scelta casuale: quel frate aveva fama di scuotere gli animi, di toccare corde profonde, di portare i fedeli a confrontarsi con la loro coscienza.
Il giorno di Pasqua, le campane suonarono a festa, il loro rintocco si propago' come un richiamo antico, mentre il paese, ancora assonnato, si risvegliava lentamente. La salita verso la chiesa si riempì presto di passi veloci e di mormorii. Le donne, con i loro foulard stretti sul capo, si aggiustavano le gonne sgualcite dal vento; gli uomini, con il cappello in mano, avanzavano con un'aria di rispettosa aspettativa. La piazza si animò, e presto tutti trovarono posto all’interno della chiesa, dove la luce filtrava fioca attraverso le vetrate, creando riflessi dorati sul vecchio altare.
Quando il frate salì sul pulpito, un silenzio assoluto calò sui fedeli radunati in Chiesa. Era un uomo alto e magro, con il viso scavato da anni di penitenze e un paio di occhi che sembravano scrutare dentro l’anima di chiunque incrociassero. La sua voce, inizialmente calda e sicura, cominciò a risuonare con forza: parlò di redenzione, di speranza, di come la Pasqua rappresentasse la resurrezione di Cristo e la possibilità di risorgere dalle proprie miserie. Tuttavia, ad un certo punto, il tono della sua predica cambiò.
«Ma non basta solo pregare,» disse, guardando il pubblico con occhi che sembravano bruciare di una furia silenziosa. «Dobbiamo risorgere anche nelle nostre azioni. E se vogliamo parlare di peccato, non possiamo ignorare quello che avviene ogni giorno nei luoghi di potere. Il Parlamento, ad esempio, è una "spelonca di ladri", dove si nascondono i furfanti che rubano la dignità del popolo.»
Il frate si fermò, il suo sguardo penetrante scivolava su ogni volto, ma nessuno si aspettava che quelle parole scatenassero un simile effetto. La chiesa, un tempo silenziosa, esplose in un mormorio di confusione. Molti abbassarono gli occhi, altri si scambiarono sguardi carichi di incredulità. La parola "Spelonca" echeggiava come un colpo secco, ma il vero shock arrivò quando alcuni cominciarono a sussurrare, con il cuore in subbuglio: «Sta parlando di noi? Sta dicendo che Spelonga è una caverna di ladri?»
Il frate non si accorse della tempesta che stava suscitando. Continuò imperterrito, troppo coinvolto nel suo discorso politico, troppo distante dalla realtà di quel paese. «Se non cambiamo, la corruzione entrerà nelle nostre case, nelle nostre famiglie. Non è solo il governo che tradisce il popolo, ma anche noi stessi quando lasciamo che la nostra gente viva nell'ignoranza e nella paura.»
Il frate, confuso, tentò di alzare la voce per riacquistare il controllo, ma la sua parola non arrivò più come prima. La folla era ormai un corpo unico di rabbia e delusione. Alcuni, tra i più anziani, si inginocchiarono in preghiera, come se volessero proteggere il paese da quelle parole velenose. Ma il frate, sentendo la crescente ostilità, capì che la situazione stava diventando irreparabile.
Dopo un ultimo sguardo a Don Paolo, che sembrava incapace di fermare l'ondata di protesta, il frate decise di fuggire. Senza una parola, scivolò giù dal pulpito e si diresse verso la porta sul retro della chiesa che dava prima nel campanile e poi nella sagrestia. La sua fuga silenziosa fu notata solo quando il suo abito marrone scomparve nella penombra. Nessuno provò a fermarlo. La sua presenza, ormai invisa, era un peso insopportabile.
Mentre il frate svaniva nella nebbia di Spelonga, la chiesa rimase vuota, se non per i sussurri della gente che si scambiava opinioni e rivelava, tra un respiro e l’altro, quanto fosse stata pesante quella messa. La Pasqua, che avrebbe dovuto portare speranza, si concluse in un silenzio angosciante. La piccola comunità, unita nei giorni di lavoro e di preghiera, si sentiva ora divisa. Le parole del frate avevano colpito qualcosa di profondo, ma avevano anche lasciato cicatrici, tracce di un malinteso che, forse, sarebbe stato difficile sanare. Ci volle tutta la proverbiale pazienza e saggezza di Don Paolo per rimarginare nel tempo la tensione che quell' immane equivoco aveva creato.
Vittorio Camacci
"Caccia all'affare" a Porto d'Ascoli
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CACCIA ALL’AFFARE TORNA A PORTO D’ASCOLI
Sabato 5 aprile 2025 | Centro Commerciale Arca – Porto d’Ascoli | Dalle 9:00 alle 19:00 – Ingresso libero
Dopo il successo delle edizioni precedenti, Caccia all’Affare, il mercatino del vintage, del second hand e del collezionismo, torna sabato 5 aprile 2025 negli spazi al coperto del Centro Commerciale Arca di Porto d’Ascoli, con una giornata ricca di sorprese, curiosità e oggetti da scoprire.
Abiti e accessori d’epoca, piccoli arredi vintage, vinili, oggettistica, libri fuori catalogo, giocattoli del passato, modernariato e memorabilia: ogni stand è un piccolo scrigno del tempo, dove ogni oggetto ha una storia da raccontare. Un’occasione perfetta per gli amanti del riuso consapevole, del collezionismo e dello shopping sostenibile.
Acquistare vintage oggi significa fare una scelta di valore: non solo estetica, ma anche etica e ambientale. Ogni oggetto recuperato è un gesto concreto verso un’economia circolare, dove il riutilizzo sostituisce l’usa e getta. È un modo per ridurre gli sprechi, limitare il consumo di risorse e dare nuova vita a ciò che ha ancora tanto da raccontare. Il fascino del passato si unisce alla responsabilità del presente.
Frequentare mercatini come Caccia all’Affare significa anche vivere un’esperienza sociale e culturale: si incontrano persone, si scambiano storie, si scoprono dettagli dimenticati del nostro vissuto collettivo. È uno spazio dove curiosità, passione e sostenibilità si incontrano in un’atmosfera informale e stimolante.
In un contesto sempre più attento all’ambiente e alla circolarità, Caccia all’Affare si conferma un appuntamento di riferimento per chi cerca pezzi unici con anima, valore e autenticità.
Il mercatino sarà aperto dalle ore 9:00 alle 19:00 con ingresso libero.
DOVE: Centro Commerciale Arca – Via Pasubio 15, Porto d’Ascoli (AP)
QUANDO: Sabato 5 aprile 2025
INGRESSO GRATUITO
Per informazioni:
tel. 0736 256956 | 393 9862023
mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
www.mercatiniantiquari.com
FB e IG: @cacciallaffare
Spettacolo annullato al PalaFolli
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ANNULLATO SPETTACOLO “VERO O FALSO”
DI MARCO CAPRETTI AL PALAFOLLI DI ASCOLI PICENO
previsto sabato 5 aprile 2025
Per problemi tecnici, è annullato lo spettacolo “Vero o Falso” con Marco Capretti previsto sabato 5 aprile 2025 al Teatro Palafolli di Ascoli Piceno.
Per chi avesse già acquistato i biglietti presso la biglietteria del PalaFolli è possibile chiedere il rimborso direttamente al Palafolli (lun-ven 9:00-13.00 e 16:00-19:00).
Per chi avesse acquistato online, il rimborso dovrà essere richiesto attraverso la piattaforma utlilizzata per acquistare.
Info 0736-352211