L'Antica felicità - di Vittorio Camacci
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Un tempo bastava poco per sentirsi felici, qui. Un pranzo sotto una pergola, la legna che ardeva nella stufa, le risate dentro una stalla durante una nevicata. Era una felicità ruvida, mai ostentata, fatta di silenzi condivisi e mani callose. Poi è arrivato il terremoto e con lui una seconda scossa: quella morale. La terra ha tremato, ma ha tremato di più il cuore delle persone quando hanno visto cosa stava accadendo dopo. Non si è ricostruito per vivere meglio. Si è ricostruito per guadagnare. Per prendere appalti, aprire fondazioni, moltiplicare studi tecnici. E chi non era del giro, chi non aveva amicizie nei posti giusti, è rimasto fermo, a guardare i camion salire e scendere, mentre la propria casa restava un cumulo di pietre. Io ci sono rimasto, per mia madre, che non voleva andarsene. Diceva che si stava bene solo qui, anche sotto una tettoia di truciolato e carta catramata. Per un po’ le ho creduto. Ma adesso, ogni mattina che mi alzo in questa SAE che odora ancora d'impregnante, mi chiedo se abbia avuto ragione lei o il tempo. C’è chi ha fatto fortuna e oggi ti parla dei borghi come se fossero loro. Organizzano festival, comprano ruderi e li trasformano in dimore di charme. Dicono di voler salvare l’anima dei luoghi, ma a me pare che ci abbiano tolto la nostra. Noi, quelli veri, siamo diventati comparse. C’è un dolore che non si dice: quello di sentirsi intrusi a casa propria. Di vedere che l’unica economia che gira è quella dei contributi, dei convegni, dei bandi. Di capire che se vuoi vivere qui davvero, coltivare la tua terra, allevare due pecore, nessuno ti aiuta. Nessuno ti vede. A volte, camminando nei boschi, provo a ricordare com’era prima. Ma i suoni sono cambiati anche nei paesi. Non ci sono più le voci dei vecchi che raccontavano, né i bambini che correvano tra i muretti. Solo vento e qualche voce venuta da lontano, che chiama il proprio cane con un accento che non conosco. La felicità? È diventata una parola da brochure. Qualcosa che usano gli altri per vendere la nostra nostalgia. Per noi che siamo rimasti è rimasto solo il senso di colpa: per non essere andati via o per non aver fatto abbastanza. Allora vivo alla giornata, ora che non c'è più mia madre che dorme nell'altra stanza, col suo respiro che a volte sembrava più forte del mio. Con un orto che produce meno di prima. Con lo sguardo che ogni tanto si posa sul colle, dove c’era la casa. È rimasta solo la malinconia e una strana, testarda, inutile fedeltà a un luogo che ha smesso di appartenermi. Quest'inverno è finita anche questa attesa, da quando accompagnai mia madre nell'ultimo viaggio. Quel giorno ho capito che non ho più scuse. Posso andarmene anch’io, senza voltarmi. Forse in silenzio o forse urlando a tutti che si tenessero pure le loro case nuove, le panchine di design, le sagre gourmet. A me non serve più niente. Nemmeno la speranza. Perché qui, di umano, è rimasto solo il dolore e anche quello ormai si vende male.
Vittorio Camacci
Contro gli inceneritori
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Riceviamo e pubblichiamo
Associazioni e comitati al lavoro contro l'incenerimento dei rifiuti e per l'economia circolare
Nell'ambito del Progetto europeo VERA 2025 (Volunteering Equality Rights Action 2025), volto a rendere il volontariato più inclusivo e rappresentativo dell'intera società, le associazioni e i comitati impegnati a Roma contro l'inceneritore e a favore dell'economia circolare hanno incontrato l'europarlamentare Dario Tamburrano, che ha partecipato all'attività di Job Shadowing prevista dal progetto. Presenti Legambiente, CGIL, Forum Ambientalista, Italia Nostra, Marche a rifiuti zero, Rete Tutela Roma Sud, Rete dei numeri pari, Unione dei comitati contro l’inceneritore, Zero Waste Italy.
Oltre al progetto VERA 2025 del Centre for European Volunteering, a cui partecipa, Marche a rifiuti zero è capofila nella realizzazione del progetto WinGS - Women in Green for Sustainability, per sostenere la leadership femminile e l’utilizzo dell’Intelligenza artificiale nel volontariato. Tale attività è particolarmente rilevante in vista del 2026, anno internazionale dei volontari per lo sviluppo sostenibile; l’intelligenza artificiale è infatti uno strumento prezioso per velocizzare e migliorare le attività dei volontari soprattutto per quanto riguarda l’analisi dei dati e la creazione di contenuti nei team di volontari, assicurando che le donne volontarie ottengano un accesso uguale o maggiore a queste competenze. In tale ambito potrà proseguire la collaborazione tra volontari e parlamentari attraverso incontri di studio e approfondimento come quello di oggi.
L'incontro ha rappresentato un momento di confronto su quanto è stato fatto a livello locale ed europeo per fermare l'inceneritore e promuovere buone pratiche di gestione dei rifiuti, nell'ottica di costruire un'economia realmente circolare e sostenibile.
Analisi dell'emendamento che estende i poteri del Commissario straordinario alle aree di crisi ambientale
Innanzitutto, Comitati e Associazioni hanno discusso l’emendamento presentato alla Camera dei deputati sul trasferimento dei poteri al Commissario Straordinario di Roma in merito all’istituzione delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale che di norma spetta alla Regione evidenziando:
- preoccupazione per un emendamento che potrebbe aumentare i poteri del Commissario, ridurre i poteri della Regione, eliminare le procedure di controllo da parte di enti terzi, porsi in contrasto con le norme europee e costituzionali.
- dubbi sulla possibilità di approvazione dell'emendamento a causa di conflitti con le normative esistenti in materia ambientale.
Si propone una conferenza stampa per chiedere il ritiro dell’emendamento.
Analisi dell'impatto economico e geopolitico sulla gestione dei rifiuti
- Le difficoltà di approvvigionamento di materie prime per l’Europa rappresentano un fattore geopolitico rilevante nella gestione dei rifiuti, che possono costituire un’importante fonte di materie prime seconde, indispensabili per la promozione dell’economia circolare e la costituzione di filiere del riciclo.
- Occorre prioritariamente valutare l'aspetto economico nella scelta delle strategie di gestione dei rifiuti, considerando anche la creazione di posti di lavoro.
Gestione dei rifiuti a Roma e nelle Marche: criticità e proposte
- Nell’ambito del confronto tra la gestione dei rifiuti a Roma e nelle Marche, si evidenziano le diverse strategie e i risultati ottenuti. Si sottolinea la situazione critica della gestione dei rifiuti a Roma, che è ferma al 48%, ben al di sotto delle norme europee, con una qualità molto bassa ed una prospettiva dichiarata di uno scarto del 18% da raccolta differenziata nel 2030.
- Ciò rende prioritario promuovere la raccolta differenziata porta a porta, unico sistema che garantisce una raccolta di qualità, e il recupero di materia a freddo, in opposizione all'inceneritore, coinvolgendo i cittadini e le imprese nel percorso verso l'economia circolare secondo quanto già proposto dal rapporto Capitale Circolare sulla chiusura del ciclo dei rifiuti di Roma, realizzato da Cgil di Roma e Lazio e Legambiente Lazio. Non è una questione ideologica, ma una opportunità economica. Il rapporto CGIL Legambiente è contenuto – insieme a numerosi position paper di sindaci, sindacati e associazioni che approfondiscono i temi connessi alla gestione dei rifiuti – nel libro La verità sull’inceneritore realizzato per rispondere al dibattito pubblico negato dall’Amministrazione di Roma Capitale. Analoghe considerazioni vengono proposte dalla Unione dei Comitati contro l’inceneritore, nel libro L’inceneritore di Roma, una scelta sbagliata, dove si evidenzia anche la priorità di puntare sulla differenziazione della frazione umida dei rifiuti per favorire il recupero di materia (impianti REMAT) dalla frazione indifferenziata.
Strategie di sensibilizzazione e azione legale
- Importanza della comunicazione e della sensibilizzazione dei cittadini sui problemi ambientali, attraverso incontri mirati in tutti i Municipi.
- Utilizzo di diverse strategie di comunicazione, tra cui conferenze stampa, incontri pubblici e petizioni. Si ricordano i numerosi incontri già realizzati nell’ambito della campagna Roma merita di meglio, così come i libri scritti e presentati in diverse manifestazioni.
- Si propone di chiedere una consulenza ambientale a esperti esterni ai Comitati e di ricorrere alle vie legali per contrastare decisioni ritenute illegittime o dannose per l'ambiente.
Legge sui biomonitoraggi
Si propone di introdurre la valutazione dei rischi sanitari connessi all’esposizione a sostanze inquinanti derivanti dal trattamento e smaltimento finale dei rifiuti per le popolazioni che vivono nei pressi degli impianti, da finanziare attraverso un contributo speciale pari al dieci per cento della tariffa di conferimento agli impianti, a carico dei gestori degli impianti che svolgono attività di incenerimento e dei gestori di discariche di rifiuti, da destinare a un apposito Fondo nazionale per la valutazione dei rischi sanitari derivanti da inceneritori e discariche.
Assoggettamento inceneritori a sistema ETS
Si ritiene indispensabile l’entrata in vigore della norma europea che include gli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani nel sistema ETS entro il 31 dicembre 2026.
Prossimi appuntamenti
In occasione della visita a Roma di di Paul Connett e Rossano Ercolini dal 15 al 20 maggio si propone in primo luogo di farli partecipare alla manifestazione che si terrà in Campidoglio sabato 17 maggio sulle grandi opere. Un ulteriore incontro si potrebbe tenere presso la Casa della Solidarietà - Stefano Rodotà a San Lorenzo sul tema economia circolare e lavoro nella gestione dei rifiuti di Roma Capitale.
Parole chiave
Fattore Geopolitico, Rifiuti, Raccolta differenziata, Recupero di materie prime, Sensibilizzazione, Azione legale, Impatto economico, Rischio sanitario.
Buona Pasqua, Gualandriani - di Vittorio Camacci
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Vi auguro di perdere tempo.
Fermatevi a chiacchierare con un amico anche se siete assediati dalle incombenze quotidiane.
Perché la vita, depurata di tutto ciò che è urgente, ma paradossalmente non essenziale, alla fine si riduce a questo, all’amore che siamo stati in grado di ricevere e donare.
Lasciatevi sedurre dal profumo di erba tagliata e fiori selvatici che si mescola all’odore del pane caldo nei borghi della Laga. Rallentate il passo. Assimilate quell’odore buono che sa di primavera e di casa.
Godetevi un bicchiere di vino rosso seduti su un muretto di pietra, con il sole tiepido che accarezza la pelle e il vento che porta con sé il suono delle voci di chi sta ancora raccontando storie antiche sotto il portico di una vecchia osteria.
Ritagliatevi un attimo per osservare la sera che scende sulle montagne, quando il cielo si tinge di rosa e lilla, e le ultime luci del giorno accarezzano le cime innevate che resistono al cambio di stagione. Giocate a dare un nome a ogni colore che sfuma nell’aria, osservate il viola dissolversi nell’azzurro prima che la notte si impossessi di tutto.
I tramonti di aprile durano quanto una carezza, un battito di ciglia, una promessa sussurrata, ma sono bellissimi. Forse proprio perché effimeri.
Ci ricordano che la bellezza palpita più potente in ciò che è provvisorio.
Prendetevi tutto il piacere possibile.
Da un bicchiere di vino, un libro, una sinfonia o un corpo.
Anche se è il vostro.
Perché il tempo perso è guadagnato.
È un regalo che facciamo a noi stessi, un piccolo atto di disobbedienza nei confronti di una società che ci vuole efficienti, ma distratti, che ci insegna a fare mentre disimpariamo a sentire.
Vi auguro di perdere la strada.
Perché raramente ci si imbatte nella bellezza se non si ha il coraggio di abbandonare la via maestra. Basta mantenere lo sguardo libero dal pregiudizio e allenato al dettaglio. Ricordiamoci che anche negli interstizi tra le rocce si annidano i fiori, che un luogo apparentemente inospitale può farsi culla. Dopotutto le rocce si scaldano in fretta, basta un raggio di sole, nelle fenditure il vento non riesce a entrare.
E poi chi lo ha detto che nella vita bisogna per forza arrivare da qualche parte?
Non è la meta, ma gli incontri che facciamo, a dare un senso al viaggio, a trasformare in un’emozionante avventura quello che altrimenti sarebbe solo un confuso vagare.
Vi auguro di perdere la testa.
Di concedervi una piccola follia.
Come restare a camminare tra le stradine acciottolate di un borgo della Laga fino a notte fonda, anche se domani non è un giorno di festa, solo per guardare il cielo stellato senza pensare a niente.
Cambiate lavoro, paese, abitudini.
Soprattutto cambiate sguardo.
Per una volta, una soltanto, tradite la sicurezza per la passione.
Spogliatevi, non solo dei vestiti, ma di tutto ciò che si frappone fra voi e i vostri desideri.
Ci viene insegnato che i desideri a partire da una certa età non hanno più cittadinanza, così finiamo per svuotarli della loro potenza salvifica etichettandoli come capricci, fantasie di ragazzi destinati a evaporare al sopraggiungere della maturità.
E invece i desideri sono la chiave per aprire le stanze segrete della nostra anima o, fuori di metafora, la via per incontrare noi stessi.
Per accorgerci che alla fine siamo umani e nulla di ciò che è umano è estraneo alla nostra natura.
Vi auguro di perdere le vostre certezze per imparare che dopotutto nella vita le domande contano più delle risposte.
Privilegiate la fatica del dubbio all’arroganza della verità, che forse il Male non esiste, ma di certo Dio sta dalla parte del Festival Culturale dei Borghi Rurali della Laga.
Vi auguro di perdere.
Di perdere e di cadere perché la sconfitta è maestra di indulgenza. È attraverso l’inciampo che impariamo a ridimensionarci e a liberarci dalla tentazione di crederci invincibili.
Non sono le nostre vittorie a definirci, non più di quanto lo siano le nostre sconfitte, ma le battaglie che scegliamo di combattere.
Vi auguro di perdere i vostri compagni di viaggio se a tenervi insieme è solo la paura di restare soli o l’abitudine.
Ché la vita, si sa, è un’altalena di incontri e di addii, di foglie che cadono per fare spazio a nuovi germogli in una rincorsa incessante fino a quando non arriverà l’ora dell’ultima stagione.
Vi auguro di perdere il risentimento.
Non importa quali e quanti torti avete subito, il rancore è comunque una zavorra troppo pesante da portarvi dietro, vi ancora al passato e nega il futuro.
Se proprio deve succedere, vi auguro di perdere tutto, purché non perdiate mai voi stessi.
Anzi, cercate di tenervi stretti e di volervi bene con tutti i vostri spigoli, le vostre imperfezioni e le vostre idiosincrasie.
Che se ci riuscite voi ad amarvi poi riesce facile anche agli altri.
Non a tutti ovviamente.
Solo a quelli che contano davvero, quelli a cui, senza retorica e non per mera formalità, vale ancora la pena augurare una buona Pasqua!
Vittorio Camacci
Equivoco pasquale - di Vittorio Camacci
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La Pasqua era arrivata con il suo carico di attese, speranze e piccoli rituali che scandivano la vita della comunità di Spelonga. La chiesa di Sant'Agata, modesta ma intrisa di fede e memoria, si preparava a un giorno speciale. Don Paolo, con la sua voce vibrante e una volontà d'acciaio, aveva deciso di invitare un frate predicatore per la messa solenne. Non era una scelta casuale: quel frate aveva fama di scuotere gli animi, di toccare corde profonde, di portare i fedeli a confrontarsi con la loro coscienza.
Il giorno di Pasqua, le campane suonarono a festa, il loro rintocco si propago' come un richiamo antico, mentre il paese, ancora assonnato, si risvegliava lentamente. La salita verso la chiesa si riempì presto di passi veloci e di mormorii. Le donne, con i loro foulard stretti sul capo, si aggiustavano le gonne sgualcite dal vento; gli uomini, con il cappello in mano, avanzavano con un'aria di rispettosa aspettativa. La piazza si animò, e presto tutti trovarono posto all’interno della chiesa, dove la luce filtrava fioca attraverso le vetrate, creando riflessi dorati sul vecchio altare.
Quando il frate salì sul pulpito, un silenzio assoluto calò sui fedeli radunati in Chiesa. Era un uomo alto e magro, con il viso scavato da anni di penitenze e un paio di occhi che sembravano scrutare dentro l’anima di chiunque incrociassero. La sua voce, inizialmente calda e sicura, cominciò a risuonare con forza: parlò di redenzione, di speranza, di come la Pasqua rappresentasse la resurrezione di Cristo e la possibilità di risorgere dalle proprie miserie. Tuttavia, ad un certo punto, il tono della sua predica cambiò.
«Ma non basta solo pregare,» disse, guardando il pubblico con occhi che sembravano bruciare di una furia silenziosa. «Dobbiamo risorgere anche nelle nostre azioni. E se vogliamo parlare di peccato, non possiamo ignorare quello che avviene ogni giorno nei luoghi di potere. Il Parlamento, ad esempio, è una "spelonca di ladri", dove si nascondono i furfanti che rubano la dignità del popolo.»
Il frate si fermò, il suo sguardo penetrante scivolava su ogni volto, ma nessuno si aspettava che quelle parole scatenassero un simile effetto. La chiesa, un tempo silenziosa, esplose in un mormorio di confusione. Molti abbassarono gli occhi, altri si scambiarono sguardi carichi di incredulità. La parola "Spelonca" echeggiava come un colpo secco, ma il vero shock arrivò quando alcuni cominciarono a sussurrare, con il cuore in subbuglio: «Sta parlando di noi? Sta dicendo che Spelonga è una caverna di ladri?»
Il frate non si accorse della tempesta che stava suscitando. Continuò imperterrito, troppo coinvolto nel suo discorso politico, troppo distante dalla realtà di quel paese. «Se non cambiamo, la corruzione entrerà nelle nostre case, nelle nostre famiglie. Non è solo il governo che tradisce il popolo, ma anche noi stessi quando lasciamo che la nostra gente viva nell'ignoranza e nella paura.»
Il frate, confuso, tentò di alzare la voce per riacquistare il controllo, ma la sua parola non arrivò più come prima. La folla era ormai un corpo unico di rabbia e delusione. Alcuni, tra i più anziani, si inginocchiarono in preghiera, come se volessero proteggere il paese da quelle parole velenose. Ma il frate, sentendo la crescente ostilità, capì che la situazione stava diventando irreparabile.
Dopo un ultimo sguardo a Don Paolo, che sembrava incapace di fermare l'ondata di protesta, il frate decise di fuggire. Senza una parola, scivolò giù dal pulpito e si diresse verso la porta sul retro della chiesa che dava prima nel campanile e poi nella sagrestia. La sua fuga silenziosa fu notata solo quando il suo abito marrone scomparve nella penombra. Nessuno provò a fermarlo. La sua presenza, ormai invisa, era un peso insopportabile.
Mentre il frate svaniva nella nebbia di Spelonga, la chiesa rimase vuota, se non per i sussurri della gente che si scambiava opinioni e rivelava, tra un respiro e l’altro, quanto fosse stata pesante quella messa. La Pasqua, che avrebbe dovuto portare speranza, si concluse in un silenzio angosciante. La piccola comunità, unita nei giorni di lavoro e di preghiera, si sentiva ora divisa. Le parole del frate avevano colpito qualcosa di profondo, ma avevano anche lasciato cicatrici, tracce di un malinteso che, forse, sarebbe stato difficile sanare. Ci volle tutta la proverbiale pazienza e saggezza di Don Paolo per rimarginare nel tempo la tensione che quell' immane equivoco aveva creato.
Vittorio Camacci