In cammino verso Roma - di Vittorio Camacci
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In vista del Giubileo, milioni di pellegrini si preparano a raggiungere Roma. Sebbene la maggior parte lo farà utilizzando mezzi di trasporto moderni come aerei, treni, automobili o pullman, e persino navi che attraccano nei porti di Napoli e Civitavecchia, un numero significativo sceglie ancora lu "cavalle de San Francesche”, spostandosi a piedi, in bicicletta o persino a cavallo.
Questi viaggiatori ripercorrono le antiche vie che, per secoli, hanno collegato l’Europa al centro della cristianità. Si tratta di percorsi millenari solcati da re, imperatori, poeti, artisti, mercanti, soldati e pellegrini di ogni classe sociale, tutti accomunati dal desiderio di raggiungere Roma. Per valorizzare e censire questi itinerari, la Conferenza Episcopale Italiana (Cei) ha avviato un ambizioso progetto dal titolo “Cammini della Fede”, finalizzato a creare una rete organica di percorsi spirituali e storici lungo tutto il territorio italiano.
In occasione dell’Anno Santo, sono stati individuati sette percorsi principali, definiti “Cammini Giubilari delle Chiese in Italia” per la loro peculiarità di confluire verso Roma. Questi sono:
La Via Francigena del Nord e del Sud: due percorsi fondamentali dell’epoca medievale, attraverso cui si è plasmata la storia spirituale e culturale dell’Europa.
La Via di Francesco: ispirata agli spostamenti del Santo di Assisi, che tocca i luoghi più significativi della sua vita e predicazione.
La Via Lauretana: un cammino che passa per il celebre Santuario di Loreto.
La Via Amerina, conosciuta anche come il “Cammino della Luce”, che utilizza antiche strade dell’Impero Romano.
La Via Romea Strata: un itinerario che parte dai Paesi Baltici e attraversa l’Europa dell’Est fino a Roma.
La Via Matildica, così chiamata in onore di Matilde di Canossa, la grande figura storica che ha lasciato la sua impronta nei territori attraversati da questo cammino. Le nostre zone non rientrano in questi cammini ma possiamo trovare delle opzioni per giungere a Roma anche da Ascoli Piceno o da Arquata del Tronto:
1) da Ascoli Piceno si percorre all' inverso il Cammino Francescano della Marca poi una volta raggiunta Assisi potrete da lì percorre la Via di Francesco, scegliendo quella Nord che passa per il Santuario della Verna o quella Sud che passa per la Valle Santa di Rieti, per raggiungere la Città Eterna.
2) da Arquata del Tronto attraverso il Cammino delle Terre Mutate raggiungete Accumoli, Amatrice, Campotosto, Mascioni, Collebrincioni e infine l' Aquila. Poi, dalla città dell' Abbazia di Collemaggio attraverso il Cammino "Sui Passi dei Papi" , un percorso di 225 chilometri che attraversa luoghi suggestivi e straordinari, ancora sconosciuti al turismo di massa come la Valle dell' Aterno, l' Altopiano delle Rocche, Celano, Avezzano, Trevi, Subiaco, la Valle dell' Aniene si giunge al Castello di Lunghezza ed infine a Roma.
3) sempre da Arquata del Tronto attraverso il Cammino di San Giuseppe da Leonessa si passa per Accumoli, Cittareale e si arriva alla città del Santo. Da lì si raggiunge Rieti e si prende l' ultima parte della Via di Francesco Sud fino a Roma.
A sostegno di questo progetto, la Cei ha creato una WebApp dedicata, consultabile all’indirizzo www.camminidellafede.it. Lo strumento è stato sviluppato dal Servizio Informatico della Cei in collaborazione con esperti esterni, con l’obiettivo di offrire supporto pratico e spirituale ai pellegrini.
Ogni itinerario è stato presentato nella sua valenza storica e religiosa, con dettagli sui Punti di Interesse Ecclesiale (PIE), georeferenziati per una facile consultazione. Questi punti saranno organizzati in tre sezioni, pensate per rispondere alle esigenze fondamentali di chi viaggia: pregare, mangiare e dormire.
La WebApp non si limita a fornire informazioni: offrirà anche un certificato di percorrenza. I pellegrini che completeranno almeno 100 km a piedi o 200 km in bicicletta su uno dei Cammini Giubilari, anche senza raggiungere Roma, riceveranno un documento digitale che potrà essere convertito in un Testimonium, un’attestazione ufficiale rilasciata dalle autorità competenti durante il Giubileo.
"Cammini della Fede” punta a valorizzare l’esperienza del pellegrinaggio sotto ogni aspetto. Grazie alla collaborazione con l’associazione “Ad Limina Petri”, sarà possibile monitorare il numero di pellegrini e i chilometri percorsi; migliorare i servizi e i riferimenti spirituali lungo i percorsi; organizzare accoglienze specifiche nelle località chiave; offrire formazione agli operatori, sia ecclesiastici che commerciali, per favorire una comprensione più profonda della dimensione spirituale dell’esperienza.
A livello locale, il progetto mira a creare sinergie tra diocesi e realtà ecclesiali, facilitando il coordinamento con le istituzioni civili per una preparazione condivisa al Giubileo.
Il progetto si distingue anche per un logo evocativo che combina elementi tradizionali e moderni. Accanto a simboli come sandali, bisacce, conchiglie e bussole, spiccano la bicicletta e lo smartphone, rappresentando la spiritualità itinerante dei pellegrini di oggi. Al centro del logo, la croce e l’immagine stilizzata di un pellegrino sintetizzano il messaggio chiave: riscoprire la bellezza del viaggio come esperienza di fede e trasformazione interiore.
Con “Cammini della Fede”, la Cei invita i cristiani del terzo millennio a rinnovare il legame con una tradizione antica, ma sempre attuale, capace di unire spiritualità e scoperta.
Vittorio Camacci
Mariano "Lo Sciamano" - di Vittorio Camacci
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Il Festival dei Borghi Rurali della Laga ogni anno, con il suo arazzo di colori e voci, porta Mariano a immergersi in un mondo che sembra sfuggire alle leggi del tempo. La sua figura, si muove tra le antiche strade della Laga con un passo lento, ma deciso. I vecchi scarponi, consumati da anni di camminate, battono il terreno con la stessa solidità di sempre, mentre la sua presenza sembra rispondere a una legge più profonda, che ha imparato a conoscere. Non cammina mai scalzo, ma le sue scarpe portano tracce di terre lontane, di paesaggi che solo lui sembra davvero vedere.
Era il fotografo che aveva visto il mondo e l'aveva capito attraverso l'obiettivo. Ora, però, la sua macchina fotografica non cattura solo la realtà. No, Mariano è diventato qualcosa di più: un medium, un raccoglitore di energie invisibili. La sua arte non è più solo quella della luce e del buio, ma dell’intuizione, della visione, dell'incontro di mondi. Ogni scatto è una finestra che si apre su un altro piano, un’altra dimensione che solo lui, con la sua sensibilità sciamanica, riesce a percepire.
Nel cuore del Festival, tra i suoni, i canti e gli odori di un passato che si mescola con il presente, si fa largo l’imprevedibile incontro con una giovane donna abruzzese. Non è una figura qualsiasi, ma una camminatrice che, come le montagne stesse, sembra appartenere a un altro tempo. La sua presenza lo attrae, come se una forza magnetica l’avesse indirizzata verso di lui. Mariano sente subito che qualcosa in lei gli è familiare, non nel senso di una memoria passata, ma come una connessione profonda e misteriosa. È una musa che non lo incanta con la bellezza fisica, ma con la semplicità dei suoi gesti e la purezza della sua energia. Ogni passo che lei compie sembra risuonare con l’eco di antichi rituali.
Nel loro incontro, qualcosa di alchemico accade. Mariano non sa come, ma si sente trasformato. Non è solo l’immagine che cattura nei suoi scatti, è il paesaggio stesso che cambia sotto i suoi occhi. Ogni fotografia sembra raccontare una storia che va oltre il visibile, un intreccio tra la realtà e l’invisibile. La ragazza, inconsapevole di essere diventata parte del suo rito, cammina con lui, Mariano, per la prima volta dopo anni, sente che non è più solo un fotografo. È un testimone, un portatore di segreti ancestrali, di leggende dimenticate, di antiche energie che circolano tra le valli della Laga.
Lontano dalle luci artificiali del mondo moderno, Mariano trova un rifugio nei paesaggi montani, che sembrano rispondere al suo spirito, a quella parte di sé che non si è mai completamente persa, anche se il corpo è invecchiato. È un uomo che ha visto troppo per non credere che il tempo, in fondo, non esista davvero. Il suo cuore batte ancora al ritmo di un altro universo, quello che solo la sua macchina fotografica può svelare.
Lei, la giovane donna, è solo un passante nel suo viaggio, ma in qualche modo è diventata la chiave che ha aperto una porta. Una porta che Mariano ora non può più chiudere, che non vuole più chiudere. Ogni scatto, ogni passo insieme, lo conduce verso una trasformazione che non può più evitare. Il fotografo e la musa, entrambi viandanti nel tempo e nello spazio, continuano il loro cammino in un mondo che sa di eterno, pur rimanendo terribilmente presente.
Lungo i sentieri nascosti, riflesso in un ruscello che scorre tra le rocce, Mariano scatta d'istinto e quando abbassa la camera fotografica sente che la sua anima batte con i ritmi di questa terra e svanisce in una folata di vento che lui coglie in un'ombra, un movimento impercettibile, un'essenza. La Laga gli ha offerto un segno, un volto, un nome, un'eco, una presenza sfuggente. Mariano resta ancora un po', continua a fotografare con consapevolezza. Alcune immagini, le più intense, lasciale senza firma, nascoste tra i sassi dei muretti a secco, dentro le vecchie case di pietra, tra le pagine di un libro dimenticato in una locanda. Forse un giorno, la tua musa ne troverà una, forse no. Ma questo non ha importanza, l'incontro alchemico è avvenuto e questo basta per l'eternità.
Vittorio Camacci
Nevica - di Vittorio Camacci
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Oggi devo restare a casa, non mi posso muovere: fuori nevica. Qui, quanto durerà la nevicata non si può prevedere. La neve mette tutto a posto, copre il disordine, nasconde teli svolazzanti, secchi, tavole, automobili. Pian piano i suoni cominciano ad attutirsi fino ad un silenzio unico: solo la neve può far tacere la montagna. Oggi sono felice, ho abbastanza scorte alimentari, questa visione mi rilassa, mi fa godere della pace, resterò chiuso in casa a sistemare le mille cose rimandate. Fuori continua a nevicare, la neve ha diversi colori e dimensioni: delle volte sono fiocchi pesanti che sembrano bocconi, si poggiano senza vento e raggiungono altezze stupefacenti, altre volte sono lamelle appiccicose che costruiscono montagne e scogli appoggiandosi sui muri delle case, oppure può essere fine e ventosa da entrare fin sotto il portone.
Negli anni ho fatto i conti con la fatica, con il ghiaccio, la neve, i lupi, le bestie e gli uomini. Per carità, niente a che vedere con quella antica, quella dei tempi dei miei avi, quella di gente che non aveva mai visto il mare, che camminava tutta storta piegata dallo sfinimento della vita, dal portare i pesi come i muli. Facevano il fieno con le falci, ore ed ore di cammino per poi entrare in una stalla, piena di mosche, a mungere e fare subito dopo il formaggio.
Continua a nevicare, al bar si gioca a carte, si ride e si racconta, sono le giornate in cui si scoprono le storie delle persone, le storie di un paese, sono le giornate dove si rivelano fatti e misfatti, ci vorrebbero tante nevicate per sapere chi siamo e da dove veniamo, è la luce della neve a far miracoli. È vero, in montagna si litiga ancora per un centimetro di terra, ci si toglie il saluto per un cancello aperto che avrebbe potuto far scappare le bestie, per un tronco di legno, per i posteggi auto e persino per le antenne della TV ma quando ci si ritrova davanti ad un piatto di minestrone caldo si fa pace con tutti.
Quando finisce una bufera di neve, arriva finalmente il sole, la sua luce diventa potentissima sul bianco della neve e regala una gioia unica. Quando c’è la neve è bellissimo restare a casa.
Vittorio Camacci
Il toro che attraversò la Laga - di vittorio Camacci
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Situata in una conca pianeggiante nell'alta Valle del Tronto a 955 metri d'altitudine, in una posizione di cerniera tra il Piceno, la Marsica, la Sabina e l'Umbria, Amatrice può essere considerata la "Capitale" della Laga, come una freccia puntata verso Roma le cui retro punte laterali, Ascoli Piceno e Teramo fanno l'occhiolino alla costa Adriatica.
Solo da un centinaio d'anni è parte della regione Lazio mentre per secoli è stato un lembo dell'Abruzzo incuneato nello Stato Pontificio. Fu durante il periodo angioino, esattamente nel 1283 che il Principe di Salerno, il futuro Re Carlo II, per la fedeltà dimostrata al sovrano nella crisi dei vespri siciliani, le fece ottenere il privilegio di organizzare una fiera. Grazie a questo evento divenne ben presto fiorente e popolosa contando fino a cinquemila abitanti. Trovandosi tra i Monti della Laga e lo snodo delle vie appenniniche, svolse un prezioso ruolo mediatore tra i pascoli d'alta quota e i percorsi dei mercanti, raccordando, attraverso la Via Picente, gli Abruzzi al Lazio, l'Umbria e le Marche. È qui il cuore della transumanza, parola derivante dal latino "trans', aldilà e "humus", terra, sta ad indicare la migrazione stagionale, che parte in autunno e torna a primavera, dei pastori e delle loro greggi attraverso larghi sentieri erbosi detti tratturi, dal latino "trahere", condurre, menare.
Grazie a questa pratica ed a un contiguo numero di armenti, nel Rinascimento, Amatrice riuscì a creare attività artigianali considerevoli, la manifattura ed il conseguente commercio di particolari tessuti ricavati dal vello, i pannilana, resistenti e caldi anche se ruvidi. Di diversi colori e tipologie riscuotevano successo in tutti i mercati delle regioni limitrofe. "Il mercato della lana Rinascimentale era un motore di ricchezza paragonabile a quello dell'estrazione del petrolio dei giorni nostri". Fino agli anni cinquanta del secolo scorso si poteva assistere ad Amatrice, grazie alla transumanza ed alle greggi, ad una grande fiera che si svolgeva il giorno di San Giuseppe, il cui centro nevralgico era il "Campo della Fiera", l'odierna Piazza Sagnotti, che non bastava a contenere tutti gli armenti (oltre a pecore e capre anche cavalli e buoi e tutti gli animali domestici) ma anche arnesi da cucina, da lavoro e vestiario per le aziende di allevamento e quindi si spandeva in tutte le vie ed il circondario della cittadina, capitale dell'Alta Sabina. Ad una di queste fiere, che si teneva nel primo dopoguerra, si recarono due fratelli di Gimigliano, ridente paesino collinare sito a nord-ovest di Ascoli Piceno, per acquistare un toro. Erano due impenitenti scapoli, dotati di un cospicuo portafoglio impinguato dal duro lavoro di coloni agricoli. Di solito con tale lavoro non si diventava ricchi ma quando si era esenti da vizi e i soldi non si spendevano, all'epoca si poteva godere di un certo benessere.
I due erano affiatati nelle scelte e notato subito un bell'esemplare esposto in vendita da un allevatore di Cesacastina, pattuirono il prezzo incamminandosi immediatamente con l'animale lungo la via Salaria. A sera inoltrata raggiunsero la loro fattoria, stanchi ed affamati, legarono in fretta e furia il toro fuori dalla porta della stalla. Il mattino successivo la bestia era scappata. Dopo un lungo bisticcio toccò all'incauto fratello minore il compito di recuperare il toro. Dotato di buone gambe, fisico asciutto e una proverbiale pazienza il giovane con un lungo cammino di due giorni attraversò la Laga passando per Valle Castellana, Rocca Santa Maria, Cortino, Piano Roseto, Crognaleto fino a giungere a Cesacastina. Qui trovò il bovino che con l'istinto era tornato nel recinto del vecchio proprietario e tra lo stupore della numerosa famiglia del colono raccontò la sua incredibile traversata sulle orme del toro. Si fermò, così, un paio di giorni ospite in quella casa accogliente per ritemprarsi dalla fatica provata ed in questo lasso di tempo s'innamorò della figlia maggiore dell'ospitante, una ragazza costumata e laboriosa, soprattutto una brava cuoca. Detto/fatto oltre al toro riportò a Gimigliano un'abile mogliettina.
Con quel fenomeno culinario in casa i due fratelli gongolavano dalla contentezza: un giorno i maccheroni con le pallottine, l'altro le scrippelle mbusse, e poi il timballo, le virtù, la tacchinella canzanese, le mazzarelle, i ravioli di ricotta, le sfogliatelle, il formaggio fritto, i panzerotti, le ceppe, i tonnarelli, l'agnello cacio e ova, la pecora alla callara, il coniglio rosolato, la pizza dolce, i calcionetti. In breve tempo ingrassarono notevolmente e dopo aver pranzato presero il vizio di dormire satolli sotto il portico dell'aia. Il pomeriggio non lavoravano quasi più e nel giro di pochi anni si ritrovarono paffuti ed imbolsiti perdendo il loro proverbiale benessere, diventando una delle famiglie più povere del paese.
"Chi è lungo a mangiare... Lo è anche a lavorare"!
"Pancia piena, mani vuote"
"Troppa tavola e poco sudore, portano miseria e dolore"
Vittorio Camacci