Don Giovanni non aveva scelto la montagna per caso. Vi era nato, ci era cresciuto e quando la vocazione lo aveva chiamato, aveva risposto non da salotto, ma da figlio della terra. Dopo l’ordinazione, avrebbe potuto restare in città, insegnare, guidare una parrocchia grande. Ma lui chiese la montagna. Chiese Rocca Santa Maria con essa le sue decine di frazioni, sparse tra boschi e pendii che d’inverno sembrano Siberia. Lo videro arrivare giovane, con il volto scavato dal vento e lo sguardo deciso. Lo videro con le prime nevicate portare l’Eucaristia a piedi a Paranesi, a Fustagnano, a Licciano. Ogni tanto si fermava a Tavolero, dove il mulo beveva e lui scaldava le mani nel camino di qualche stalla. In certi borghi abitavano due, tre anime, ma lui bussava lo stesso, lasciava un pane, un saluto, un Vangelo spiegato con parole semplici. Non c’era una vera strada, solo mulattiere, eppure don Giovanni arrivava sempre. Una volta, quando la piena del Tordino isolò tutta la zona alta, fu l’unico a passare, legando le brache con lo spago e portando una cassetta di medicinali e due bottiglie di vino per scaldare la sera di Natale. Era burbero, dicevano. Non amava le cerimonie pompose. Ma chi lo conosceva sapeva che aveva il cuore grande e che spesso, dopo aver dato la comunione a un anziano morente, restava fuori dalla porta a piangere come un figlio. Ascoltava le disgrazie come si ascolta la pioggia quando sbatte sul tetto. Durante la seconda guerra mondiale i paesi della Laga sembravano dimenticati da Dio. Ogni tanto arrivavano pattuglie, spariva un ragazzo, in paese si diceva che Don Giovanni aiutasse i partigiani, i soldati sbandati che si nascondevano tra i faggi. Passava di notte tra le frazioni, bussava piano, lasciava sempre qualcosa: una pagnotta, un rosario, un biglietto da bruciare dopo la lettura. Dopo la guerra tornò alle sue parrocchie, al suo gregge sfilacciato, a consumare le sue scarpe sui sentieri, tra i montanari che non avevano più niente in cui credere se non nella terra. Si oppose caparbiamente allo spopolamento e all'abbandono dei pascoli.
Uomo semplice ma inflessibile sui valori, denunciava spesso dai pulpiti le ingiustizie e le discriminazioni subite dalle comunità montane. Non scriveva lettere, ma se avevi bisogno di un consiglio bastava trovarlo, magari seduto su un muretto con il breviario sulle ginocchia e il bastone appoggiato a un sasso. Ti guardava, e diceva: “Che ti rode? Parla piano, che Dio ci sente anche se sussurri”.
Morì in silenzio, come aveva vissuto. D’inverno, con la prima neve. Lo trovarono nella canonica, col fuoco ancora acceso e una lettera per un vecchio della montagna a cui voleva portare il pane. Ancora, fino a qualche decennio fa, tra i sentieri dimenticati della Laga, dove, spesso, il muschio copriva i gradini delle vecchie case, ogni tanto si sentiva il racconto di un vecchio che diceva: “Don Giovanni qui ci veniva. A piedi. Con la pioggia. Sempre”. Perché c’è chi costruisce cattedrali e chi tiene in piedi i ruderi, solo con la forza dell’amore e la fedeltà ostinata. Don Giovanni era uno di quelli.
Vittorio Camacci