In una bella e luminosa mattina di maggio, il profumo dell’erba fresca si è mescolato all’eco lontana dell’acqua che scorreva. Il vecchio mulino Guerrieri, a Villa Tordinia, è stato il punto di partenza della camminata organizzata dal Festival culturale dei borghi rurali della Laga. Sotto le fronde ancora giovani dei pioppi, decine di partecipanti si sono radunati, ognuno con la sua storia, i suoi passi, il suo zaino. Un caffè caldo, un dolce squisito ed un cappello contadino di paglia regali graditi.
Il mulino, ormai trasformato in civile abitazione, conserva però l’anima delle pietre antiche e della farina macinata ad acqua. Qualcuno racconta che nei giorni di vento si sente ancora il cigolio della ruota, altri giurano di aver visto le ombre dei mugnai al tramonto. Ma non c’era tempo per le leggende: una lunga salita ci attendeva.
Il sentiero che portava a Rocciano era una lama di terra stretta, ripida, che si inarcava tra ginestre in fiore e ulivi secolari. Ogni tornante rivelava un tratto di valle sempre più ampio, come un sipario che si apre piano. Il fiato si faceva corto, i passi lenti, ma la bellezza della Laga e del maestoso Gran Sasso, in lontananza, erano un balsamo silenzioso che curava la stanchezza.
Quando infine è comparso Rocciano, sembrava un presepe vivo aggrappato alla montagna. Le case antiche, il palazzo signorile degli Spinozzi, la chiesetta inagibile di Santa Lucia con il campanile a vela, le donne affacciate alle finestre. Ma la vera sorpresa è stata l’accoglienza: il paese intero ci aspettava, sorridente, generoso, con una colazione degna dei pellegrini. Crostate fatte in casa, dolci locali, biscotti e bibite. Ogni morso era una stretta di mano, ogni sorso un abbraccio.
Dopo il ristoro, il cammino è ripreso verso la masseria Scipioni, poco oltre il borgo. Lì ci attendeva il piatto simbolo di maggio: le virtù. Una sinfonia di sapori e pazienza, un piatto che non si improvvisa, ma che si costruisce con giorni di preparazione. Legumi secchi e freschi, verdure dell’orto, pasta fatta in casa, qualche tocco segreto di erbe che ogni famiglia si tramanda. Mentre mangiavamo all’ombra del portico, si parlava piano, come si fa quando si è sazi nel corpo e nell’anima.
Ma la giornata non era ancora finita. Tra i partecipanti si è fatta largo una voce: “C’è Roppoppò!”. Un uomo con l'organetto in spalla e un sorriso storto: Franco Palumbo, in arte Roppoppò, ha preso fiato e cominciato a cantare. Prima a cappella la canzone delle Virtù, un trattato di gastronomia in versi. Tutto ciò non è bastato agli astanti. Istigato dai numerosi fans, successivamente, ha eseguito un valzer, dei canti popolari, infine la sua vecchia canzone che ha acceso i piedi e i cuori. Nessuno se lo aspettava e forse proprio per questo è stato indimenticabile. Si è ballato, si è riso, qualcuno si è commosso. Siamo scesi a ritroso incontrando un enorme suv coperto dai rovi e dalle canne, mi hanno detto che è rimasto immemore in quella posizione, come ricordo furtivo di una lite d'amore.
Sul finire del giorno, guardando dall’alto la valle del Tordino, un signore di Pescara ha detto:
“Questa non è solo una camminata. È una memoria che cammina.”
Forse aveva ragione o forse aveva bevuto troppo vino.
Vittorio Camacci