sciLa carenza di neve naturale e i costi elevati per produrre quella artificiale stanno mettendo in crisi il turismo invernale, spingendo alla creazione di nuovi modelli di turismo invernale. Anche lo scorso inverno, come il precedente, molte piste sulle Alpi sono state ridotte a sottili strisce di neve artificiale circondate da prati verdi e montagne spoglie. Temperature miti e scarse precipitazioni continuano a influire negativamente sulla quantità di neve, specialmente nelle Alpi e negli Appennini.
La progressiva riduzione della neve naturale rappresenta una minaccia per un settore fondamentale dell’economia italiana: il turismo invernale. Secondo i dati ISTAT, prima della pandemia circa il 13% dei pernottamenti in Italia si concentrava in località montane, con una spesa dei turisti stranieri che nel 2019 ha sfiorato i 2 miliardi di euro. Tuttavia, lo studio della Banca d’Italia del 2022, che ha analizzato 20 anni di dati relativi a 39 stazioni sciistiche italiane, ha confermato che il riscaldamento globale sta compromettendo seriamente questo comparto. Le località a quote più alte, come quelle in Valle d’Aosta, risultano meno colpite rispetto a quelle in Trentino-Alto Adige o in tutto l'Appennino, dove la minore altitudine e l’aumento delle temperature incidono maggiormente sulla neve disponibile. Nonostante il crescente utilizzo di neve artificiale, il suo effetto sulla presenza turistica rimane marginale: i dati dimostrano che quando manca la neve naturale, anche con gli impianti aperti, il numero di visitatori cala drasticamente.
Produrre neve artificiale è un processo oneroso sia in termini economici che ambientali. Per innevare un ettaro di pista servono circa 1.000 metri cubi d’acqua e tra i 2.000 e i 7.000 kilowattora di energia elettrica. Inoltre, il funzionamento dei cannoni sparaneve dipende dalle condizioni meteorologiche: temperature troppo alte rendono impossibile la produzione di neve. Con l’aumento delle temperature, le stagioni sciistiche si accorceranno ulteriormente, mentre i costi per l’innevamento cresceranno, rendendo impraticabile questa soluzione nelle località più basse.
Per sopravvivere, il turismo montano dovrà diversificarsi. Gli esperti suggeriscono di investire in attività meno legate alla neve, come il turismo estivo, eventi culturali, sport alternativi e iniziative legate al benessere. Località come Andermatt, in Svizzera, stanno già sperimentando nuove strategie per affrontare i cambiamenti climatici, ma con costi ambientali ed economici significativi.
Legambiente ha denunciato la scarsa sostenibilità di molti impianti situati a bassa quota, definiti casi di “accanimento terapeutico”, poiché sopravvivono solo grazie a fondi pubblici. Tra questi, Col du Joux (1.600 m, Valle d’Aosta) e Bolbeno (560-660 m. Trentino) hanno ricevuto milioni di euro per progetti che rischiano di essere poco redditizi. L’associazione ha censito oltre 230 impianti dismessi e sottolineato l’urgenza di una transizione verso un turismo montano più sostenibile.
Il turismo invernale non può più basarsi esclusivamente sullo sci alpino. Le comunità montane devono riconfigurare la propria offerta, puntando su un modello di sviluppo che integri sostenibilità e diversificazione, per garantire un futuro economicamente ed ecologicamente sostenibile.

Vittorio Camacci

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