17 58 43 Gude Axelsson GeddaDon Domenico non si era mai fissato sui peccati dell’uomo. Aveva sempre avuto una specie di “prurito da confessionale”, non ci si ritrovava affatto nell’angustia del cassone di legno, dietro le grate coperte dagli sportelli scorrevoli. Il vecchio parroco di paese aveva un altro ideale, più ardito e glorioso, quello di sconfiggere il Male del mondo. La pecorella perduta, l’uomo traviato dal Demonio, la vita debilitata per lui avevano una sola cura l’amore indiscriminato. Poi, sul finire della sua vita qui sulla Terra, sentì il bisogno di fare, ancora una volta, un qualcosa che nessuno avesse mai fatto. Decise di dare la comunione a tutti, senza distinzioni, e per fare questo non si curò affatto di avere le necessarie autorizzazioni ecclesiastiche. Fece tutto da sé, si autorizzò da solo: che nessuno potesse mettere un freno a questo suo sogno testardo e impossibile. Quello di stare al fianco, fino alla fine e per sempre alla sua piccola comunità di montagna piena di miseria e privazioni. Anche se sapeva bene che questo, a conti fatti, gli sarebbe costato caro, anzi carissimo.
I suoi fedeli abituati sin dalla più tenera età a mangiar pane duro, polenta, formaggio e qualche frutto di stagione, lì per lì non capirono un granché: la loro bocca non era preparata alla dolce sensazione di mangiare il “corpo di Cristo”, alla purezza di quel gusto consegnato senza aver espiato alcun peccato. Quando passavano davanti all’osteria del paese pensavano così alle parole di Don Domenico: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui”. Allora preferivano tirare dritto. Al vino e companatico dell’oste prediligevano quello di Dio (Amen).brigantaggio tesina
Non immaginavano, questi poveri montanari, che questo loro improvviso ritorno alla fede, non li avrebbe lasciati più come prima, era come dichiararsi cittadini della storia, incorporare tutto un territorio, schierarsi apertamente contro il potere ecclesiastico che a quel tempo era anche temporale. Fu il grado massimo raggiunto da quegli umili diseredati, ancor più della morte in croce, della non reazione agli sputi, della remissione a cui rispondevano con vigliaccheria. Lo scandalo si diffuse con le malelingue: nella valle si era saputo che qualcuno era riuscito a sedurre i suoi fedeli offrendogli da mangiare Cristo gratuitamente, senza remissione di peccato. Le mani indegne di un vecchio sacerdote distribuivano un pane che creava una felicità impossibile, anche solo da immaginare: Dio dentro di noi, l’Eterno rintanato nello sgabuzzino del corpo. Cristo a sgomitare nell’ intestino tra altri gusti, sapori ed avanzi delle mense dei ricchi. “Il corpo di Cristo (Amen)”- diceva Don Domenico e loro lo schiacciavano dolcemente tra la lingua ed il palato, si fondeva in bocca bagnato e molle, sfiorava le tonsille, s’infilava nell’esofago e infine si depositava negli stomaci quasi sempre vuoti, regalando una folle contentezza. Il vicario generale fu mandato in visita pastorale alla parrocchia del paese per interrogare i fedeli sui costumi del parroco, soprattutto per come gestiva la cura delle anime. Il Priore della Confraternita rispose per tutti: “Il nostro curato si porta assai bene, né di lui si sente scandalo alcuno, né per conto di donne, né di giuoco, né d’altra cosa et con diligentia attende alla cura delle anime e celebrazione della messa”.Aggiungendo che aveva una vecchia sorella come perpetua in casa.
Una vita irreprensibile stando a questa deposizione; ma il vescovo volle saperne di più e si recò egli stesso in visita pastorale in quel paese. Quando, qualche mese dopo, arrivò al villaggio Don Domenico non c’era già più ed in sua vece si presentò un frate francescano che dichiarò di essere lì da tre mesi con licenza del vicario. Sua Eccellenza volle recarsi sulla tomba di Don Domenico soffermandosi in preghiera davanti la piccola croce di ferro dell’esiguo e scevro cimitero parrocchiale. Tornato al palazzo vescovile, venne a sapere da alcuni informatori che un vecchio prete di paese, non ben identificato, guidava una banda di briganti. Così gli venne riferito: “Capace di ogni delitto, spregiatore delle cose più sacre, dedito ai brogli, al giuoco, alla crapula, che si mostra dissoluto fino alla nausea, di niuna fede politica, regolato solo dai propri appetiti e dalle proprie passioni, conculcatore di ogni legge divina et umana, prepotente, tenace nelle persecuzioni, temibile all’ira, dispregiatore di ogni rimorso, pronto e capace di ogni delitto, che esercita illegalmente la medicina e professa massime antireligiose. Il popolo lo considera invece un santo”.
(La verità storica non può essere oggettiva come la scienza, ma solo soggettiva perché il soggetto e l’oggetto dello studio coincidono. In pratica l’omo studia l’uomo e non c’ è un osservatore neutrale)


Vittorio Camacci

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