L'abbandono dei luoghi amati, dove si è nati e si è cresciuti, la perdita delle persone care che per vari motivi sono svanite, accomuna tutti gli abitanti del cratere e provoca un dolore che si sente e si riconosce chiaramente.
Esso ci costringe ad aprire la bocca e ad urlare tutta la nostra disperazione e la nostra rabbia. Questo dolore è la fine di una relazione che si pensava fosse per sempre, è un'esperienza che ci spiazza e ci porta spesso alla collera, l'altra faccia del dolore, l'ultimo baluardo di resistenza. Passare attraverso lo smarrimento, la perdita di senso, il vissuto d'inutilità, confrontarsi con un sentimento di svuotamento, d’ingiustizia, con la sensazione che niente possa mai cambiare ci porta ad un'urgenza reattiva che ci fa cadere in un banale errore: gridare ad alta voce, con furia e con ira tutte le verità del post-terremoto. Scordiamo così che la meglio parola è quella che non si dice, questo è, quindi, un invito all'omertà come promessa. Tapparsi la bocca volontariamente significa avere dei vantaggi pratici e di consorteria che ci salvano dalle rappresaglie. Astenerci volutamente dall'accusare, dal denunciare, dal testimoniare ci fa diventare anonimi e quasi invisibili, credetemi, questo all'interno del cratere è un grande vantaggio.
Qui tutti sanno e nessuno osa infrangere il muro dell'omertà, nessuno è disposto a rischiare l'esposizione mediatica di controtendenza. Così nessuno vede più, nessuno sente più, nessuno parla più. Tutti sanno ma preferiscono il silenzio, scelgono scientemente di voltare la faccia dall'altra parte, standosene con le mani in mano. L'omertà come solidarietà per difendersi in una società regolamentata da leggi, norme etiche, principi morali, usi, costumi e tradizioni ormai artefatte per la convenienza dei potenti.
Con la fine dell'estate si è tornati a commemorare il V anniversario del terremoto con cerimonie ineccepibili: rintocchi di campane a morto, i silenzi di tromba, le corone d'alloro, le magliette, gli stendardi, i gonfaloni dei comuni, le fiaccolate, i giornalisti, i fotografi, le telecamere televisive, i presidenti, i governatori, i parlamentari, i consiglieri regionali, i sindaci, i commissari, i questori, i prefetti, i militari, i pompieri, i carabinieri, i poliziotti, i vescovi, i preti ed i leccapiedi. Dall'altra parte industriali, progettisti, costruttori, im(prenditori), superstiti e sopravvissuti. "Adesso i soldi ci sono, Lo Stato vi è vicino con cifre tonde a molti zeri!" E tutti ci credono... Intanto si sono venduti pure le macerie. Zitti, questo non si deve dire, perché ci rifanno tutto più nuovo e più bello. Mica siamo stupidi! Può apparire singolare che io prenda questa posizione, ma avendo avuto il privilegio di osservare con una "lente d'ingrandimento" tutte le situazioni particolari dei nostri paesi ho capito che il terremoto è soprattutto un "evento sociale" di enorme rilievo, un peso che può mettere in gioco l'identità e l'appartenenza di ogni singolo individuo del cratere per cui il prezzo da pagare è davvero incommensurabile, non solo per le vite perse, per la perdita del patrimonio artistico e storico, per l'emigrazione e lo spopolamento del territorio, la mutazione dell' attività produttive.
Questa è solo la prima parte delle conseguenze, quella che fa scaturire compassione e solidarietà, poi arrivano le speculazioni, la corruzione, la svendita dei beni pubblici, gli espropri e con essi i profitti, gli interessi, i guadagni leciti ed illeciti. In questo modo si azzerano, in nome del dio denaro, secoli di storia, si stravolgono la nostra cultura, le nostre tradizioni, le nostre attività produttive. Il terremoto quando non ti toglie la vita ne cambia il senso.
Questo avviene sia in modo individuale che collettivo, spezzando i legami tra gli individui, tra i gruppi, cambiando i destini dei paesi, facendo emergere diseguaglianze e disparità, ovviamente chi soffrirà di più saranno i poveri ed i deboli, facendo venire a galla realtà drammatiche come: illegalità, omertà, complicità. Queste deviazioni riguardano, principalmente, i rapporti di potere basati sulla paura, effettuati dalla classe dirigente, dalle imprese, dagli operatori statali e persino, a volte, dalla cultura e dalla ricerca, ciò fa aprire gli occhi sulla realtà umana che di fronte all'interesse economico si piega avidamente.
Questo, letto in controluce, ci fa pensare che la calamità vale più di un trattato di economia politica. La convenienza economica ha il potere di cancellare i simboli identitari, i monumenti, i paesaggi, i costumi, le tradizioni. Fa allontanare i giovani dal territorio, tutto quello che è vecchio viene abbattuto sostituendolo con abitazioni e strutture moderne. Dobbiamo allora domandarci se questo è un desiderio di tutti, se potremo vivere in un paese senza memoria, se questo è un impoverimento o una ricchezza e soprattutto se tutto questo lo decidiamo noi? Questa è la solita storia, quella che ci obbliga all'omertà, una storia che a nessuno piace raccontare, tutti sappiamo quello che sarà.
Le leggi premiano la ricostruzione ex-novo, quindi per il bene di tutti bisogna rispettare la legge. Siamo appena agli inizi e già è tutto cancellato con la spartizione dei fondi: i comuni colpiti maggiormente sono stati pochi ma il cratere è stato allargato fino al mare. Gli amministratori hanno acquisito consensi gestendo fintamente per il popolo ma intermediando realmente tra governo centrale ed imprese.
Per la loro carriera politica il terremoto è stata una vera benedizione. Noi, invece, dobbiamo stare zitti, mentre sotto i nostri occhi si ricostruisce a modo loro, mentre i nostri giovani vanno via e già si danza sui morti e ci saranno lapidi a cui nessuno porterà un fiore perché intere famiglie non esisteranno più. Se volete vivere bene questi anni di cambiamento siate rispettosi della legge del silenzio, vi sono momenti, nella vita, in cui tacere è un obbligo, un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico per cui quello che deve accadere accada, altrimenti...
Vittorio Camacci