Durante la dominazione francese, gli ascolani erano sottoposti a pesanti contribuzioni e dovevano inviare costanti rifornimenti alimentari alla fortezza di Ancona. Allora, il 7 settembre 1809, dal suo accampamento di Venarotta, Giacomo Costantini detto Sciabolone, come il padre, inviava agli ascolani un proclama, ricordando loro che "non una finta Insorgenza, ma una truppa ben regolata avrebbe liberato il popolo Piceno giacente sotto la più dura schiavitù". Quindi sollecitava la popolazione a prendere le armi ed unirsi alla sua rivolta. Ma il suo invito rimase completamente inascoltato perché gli ascolani erano caduti nella più completa sottomissione e apatia e ormai, passato un primo momento di insoddisfazione e malcontento, erano completamente spossati da un’epidemia di vaiolo che aveva infestato la provincia dal mese di giugno, mietendo numerose vittime. Fallito questo tentativo Sciabolone spostò la guerriglia verso i paesi del montegallese e dell’arquatano.
Il 12 settembre 1809, 300 insorgenti a piedi e 70 a cavallo, sotto il comando di Antonio Cinaglia detto il "Cappuccino" e di Giuseppe Cellini di Poggio di Bretta, si accamparono nella zona di Montemonaco, mentre 30 briganti a cavallo e 70 a piedi, comandati da Costantino Schiavoni risalirono i sentieri che da Cervara portavano verso l'acquasantano. Lo guidavano in quelle terre, i suoi migliori uomini locali tra i quali Francesco Pulcini e Vincenzo Orsini di Favalanciata e Alessio Buonamici di Acquasanta. Schiavoni era della Spelonga ed era un vero ritratto di crudeltà e spietatezza. Un sanguinario di prima riga, indomabile e feroce, che superava tutti gli altri capimassa come i fratelli Ciammarichella ed i Giancarli detti "I Mattarelli".
Durante il tragitto si lasciò dietro saccheggi, devastazioni ed incendi. Giunto a Quintodecimo fu avvisato dalla popolazione del paese che gli insorgenti dell'arquatano erano rimasti isolati e che la popolazione non era più disposta a sostenere la rivolta poiché era ormai dissanguata economicamente. Per evitare agguati ed incontri con le truppe francesi, allora lo Schiavoni decise di risalire i sentieri nascosti e pieni di asperità sulla destra orografica del Tronto. Il primo giorno risalì il fosso di Noce Andreana (oggi sentiero CAI 312) accampandosi la notte nella grotta sotto la cascata. Il giorno successivo seguì la stradina che costeggiava il rio Piè della Selva per poi proseguire in quella del suo affluente il Rio Solagne. Poi coprì il piccolo valico di Costa Lopreia e lungo il fosso Farneto discese sotto le coste delle Vene Rosse fino a colle Fagne sotto le coste della Valmaiore.
Era ormai sera quando attraversò fosso Carpiceto per arrivare allo spiazzo murato della Mandola sul tratto dell'antichissima pre-salaria Romana. Informato dai suoi esploratori che a Trisungo, un plotone francese, si era accampato intorno alla dogana del Bollettone, decise di formare un accampamento notturno intorno al casale di Fonte della Putetella, sotto il fosso della Portella. La notte del 17 settembre, con la scusa di andare a trovare la morosa, un suo seguace detto "Cocciasecca" avvisò i francesi in cambio di una cospicua somma di denaro. Fu così che la mattina del 18 settembre i francesi circondarono il casale; sentendo il calpestio dei cavalli i briganti si allarmarono. "Chi vive?" gridarono i francesi. "Francia"risposero gli insorgenti guidati da Schiavoni. In tutta risposta furono allora bersagliati da una scarica di fucilate. I guappi del sardonico spelongano risposero anch'essi al fuoco.
Allora il comandante francese ordinò ai suoi di portare delle fascine davanti al portone del casale e di dargli fuoco. Offuscati dal fumo ed impossibilitati a respirare i briganti si dispersero fuori del casale, alcuni riuscirono a fuggire nel bosco di castagno ed a dileguarsi mentre altri caddero sotto i colpi francesi. Schiavoni si spostò sulla cantonata destra del casale, ma mentre si sporse per sparare una palla di fucile lo raggiunse nel ventre. Barcollando e appoggiandosi alle mura, invocando la Madonna della Salute, il brigante si trascinò per qualche metro e cadde dinanzi al portone. La sua gola cominciò a gorgogliare ed il suo fiato a "ruggire”. Fu allora che Angelo De Angelis, detto "Lu Biglie" riuscì ha caricarlo di traverso su un cavallo aiutato da due fidi compari ed a portarlo in salvo a Faete. Siccome egli aveva addosso un'ingente somma di denaro, tutta in monete d'oro, fu ospitato e curato nella casa di Tommaso Simoni la cui nuora Cecilia era esperta "mammana" e guaritrice.
Il 28 ottobre del 1829 finiva la rivolta antifrancese di Sciabolone, munito dei conforti religiosi, Giacomo Costantini veniva fucilato ad Ascoli insieme ai suoi compagni Giuseppe Cellini di Poggio di Bretta, Serafino Paolini, Matteo Silvi e Giovanni Cruciali di Lisciano. Tre giorni dopo fecero la stessa fine Antonio Cinaglia alias "il Cappuccino" ed il chierico Paolantonio Paperchia di Molviano. Finiva così la figura carismatica e piena di eroica grandiosità di Giacomo Costantini detto Sciabolone come il padre Giuseppe ed i fratelli Matteo e Venanzio che ne raccolsero l’eredità. Egli fu un uomo che non morì per la patria, concetto che ancora non esisteva, ma per rimanere fedele ad un credo incrollabile costituito dalla fede. Diventato ormai una leggenda, egli affrontò il plotone d'esecuzione con coraggio volgendo il suo ultimo sguardo alla montagna madre ed amica che non lo aveva mai tradito e che ora, muta ed immobile, rendeva l’ultimo silenzioso saluto al suo sacrificio. Invece Costantino Schiavoni la scampò, dopo essersi rifugiato nei vari casali e grotte della montagna spelongana, partecipò da protagonista anche alla rivolta anti-piemontese di Giovanni Piccioni detto Parnanzò per poi finire vecchio ed alcolizzato i suoi ultimi giorni. La sua vendetta nei confronti di “Cocciasecca" fu spietata, mentre egli pascolava le sue pecore sulla Vazzallesa gli rubò due muli con relativi basti e finimenti, poi, dopo averlo preso a schioppettate spezzò il corpo in sei parti, appendendolo ad un faggio. Agli occhi di un moderno lettore questa può sembrare un'enorme crudeltà ma a quei tempi la ferocia e la barbarie erano all'ordine del giorno. Pensate, si raccontava che egli era solito bastonare la moglie solo per il fatto che tardava a stendergli il tizzone per accendere la pipa. Nascere donna a Spelonga nell’Ottocento era una grande disgrazia... ma questa è un'altra storia.
Vittorio Camacci