Petritoli – Sabato 10 luglio 2010
“Antichi Fasti Rinnovato Splendore”
Il restauro della Torre Civica

 


thumb_Torre_petritoliUn momento atteso da anni, troppi anni, una manifestazione che riporta all’antico splendore il simbolo di Petritoli, la Torre Civica, che è nel cuore di tutti i petritolesi. Una ambita conquista che il Sindaco Luca Tomassini, con malcelato orgoglio, descrive così:
“Il nostro amato Paese vanta una tradizione architettonica e culturale prestigiosa ed antica ancora oggi testimoniata da due dei suoi monumenti divenuti simbolo: la Torre Civica ed i Trearchi tornano all’antico splendore dopo il recente restauro che ha donato loro nuova bellezza anche grazie alla rinnovata e suggestiva illuminazione.
Da sempre ingresso al centro storico i Trearchi furono costruiti nel 1874 come datato dall’insigne petritolese Luigi Marmocchi e come risulta da documenti esistenti nell’archivio storico del Comune di Petritoli, costarono lire 500 pagate nell’anno successivo alla costruzione.
La Torre Civica, altra icona della nostra città, fu completata intorno all’anno 1832 su disegno di G.B. Dassi che si ispirò a! simbolismo religioso delle forme geometriche. Egli ripartì l’altezza dì circa 50 metri in tre ordini la cui morfologia doveva rappresentare il percorso che l’animo umano fa per portarsi dalla terra (il quadrato) al cielo (la sfera).
Il restauro del nostri monumenti conferma il particolare impegno profuso da questa Amministrazione Comunale a favore dell’architettura storica di Petritoli.
Il sempre crescente afflusso turistico troverà così una più degna accoglienza ed un più adeguato e degno  biglietto da visita del nostro paese.”
Sullo stesso tono l’Assessore all’Urbanistica, ai Lavori Pubblici e alle Attività produttive, il professor Giuseppe Totò
“Ogni Paese ha i suoi simboli. Petritoli si identifica nei bastioni quattro-cinquecenteschi che racchiudono i Trearchi, nell’imponente Torre Civica e nello splendido gioiello che è il Teatro Comunale dell’ Iride. 


Sono i nostri simboli (simbolo è ciò che unisce) e i nostri biglietti da visita.
Attraverso questi monumenti il nostro Paese è conosciuto nel Circondario, nelle Marche, in Italia e, con internet, si può dire, nel mondo.     
In ogni tornata elettorale, questi monumenti sono oggetto di molta attenzione nei programmi delle varie liste. Ciò avviene perché in essi i petritolesi si identificano: nell’immaginario collettivo sono i segni distintivi dell’intera comunità. Ma, come spesso accade, i programmi diventano parole al vento e si privilegiano, magari, opere più “popolari”, dimenticando, oltre ai valori, l’inevitabile e progressivo degrado causato del tempo su edifici che costituiscono un vero patrimonio.  
Quanto questo fosse evidente, anche agli occhi dei meno attenti, è facilmente dimostrabile; ma ancor più grave è che, con l’abbandono, si rischia di offuscare i nostri simboli, la nostra immagine, i nostri biglietti da visita.
Per un paese che fa del turismo una delle sue maggiori risorse economiche, ciò non sarebbe sintomo di buona amministrazione.         
Il recente restauro e risanamento dei Trearchi e quello della Torre Civica hanno fatto seguito alle parole. Con questi interventi e con la realizzazione di una Sala polivalente nel centro storico, nell’ambito del progetto denominato Centro Commerciale Naturale “Borgo Vecchio”, si è inteso ribadire le finalità della politica delle Opere Pubbliche di questa Amministrazione comunale, attenta alla crescita e allo sviluppo della comunità petritolese, nella convinzione che questi obiettivi, oggi, si possono conseguire, solo con la promozione del territorio”.
Il Professor Giuseppe Colasanti, insigne studioso e storico petritolese ripropone, nel suo libro ancora inedito“La comunità di Petritoli nel sec. XIX”, una dettagliata descrizione di uno spicchio di vita della maestosa Torre:

“La Torre Civica”

“Il paese aveva, da tempo immemorabile, la sua bella torre, ma la cronica mancanza di manutenzione aveva facilitato il logorio che gli agenti atmosferici esercitavano su di essa, tanto che la parte superiore risultava “quasi smantellata” e con la pioggia non era possibile suonare la campana.
Il desiderio di conservarla e tramandarla ai posteri era unanime. I capomastri del luogo erano convinti che con un sollecito restauro era possibile recuperarla. Tra i maggiorenti del paese non mancò chi propose di demolirla fin dove era “patita”, press’a poco “fino al piano degli archi dei finestroni” e “quindi riedificarla con la cupola”. Ma poi, come succede in simili circostanze, prevalse la soluzione finale dei tecnici che influenzò il consiglio comunale che il 22 gennaio 1820, regnando Pio VII, deliberò la demolizione “per rimuovere il pericolo che sovrasta la pubblica sicurezza”, previo naturalmente lo scalo dell’orologio e della campana.
Dopo l’atterramento del vetusto monumento, accadeva che il cumulo dei materiali di recupero che sarebbero dovuti servire alla costruzione della nuova torre, diminuiva sempre di più e andava disperso.
Si doveva perciò costruire la nuova torre il più presto possibile. Ma tra demolire e ricostruire corre sempre una grande differenza.
Pio VII era andato alla casa del Padre nel ‘23, ed un nuovo papa aveva preso il suo posto: Leone XII, sotto il cui regno si incominciò ad innalzare la torre; ma soltanto sotto Gregorio XVI, morto Pio Vili, il lavoro di costruzione fu completato.
G. B. Dassi, ingegnere camerale, fece il disegno, ispirandosi al simbolismo religioso delle figure geometriche. Egli stabilì l’altezza di quaranta metri e più, della torre, in tre ordini, le cui forme geometriche dovevano rappresentare il percorso che l’animo umano fa per portarsi dalla terra (il quadrato) al cielo (la sfera).
Nel luglio del 1827, dopo che era stato messo all’asta l’appalto dei lavori, innumerevoli volte e sempre inutilmente, fu dichiarato deliberatario il capomastro Emiddio Principi di Fermo, che aveva fatto la sua offerta prima che iniziassero gli atti di licitazione.
Si decise di costruire la torre vicino alla casa dei fratelli Campili di cui si demolì una porzione, per poter effettuare lo scavo per il masso fino alla profondità di 4,40 m ed oltre,, se necessario, e per una larghezza in quadro di 8,25 m. Le piogge dirotte d’ottobre di quell’anno causarono la rovina delle case dei fratelli Tamanti e danni alla parte non demolita della casa dei fratelli Campili, stante la loro adesione allo scavo.
Oltre a questi gravi inconvenienti, creò disappunto il ripensamento degli amministratori sul numero delle campane da collocare nella torre, progettata per ospitare soltanto la vecchia campana grossa.
Dopo l’approvazione del disegno e della perizia, gli amministratori chiesero, a sorpresa, che altre campane più piccole vi fossero installate.
Poiché la S. Congregazione del Buon Governo non si mostrò contraria al desiderio della magistratura petritolese, G. B. Dassi fece la riforma del disegno, limitatamente al semplice interno, e calcolò altresì la spesa occorrente per l’ingrandimento dell’edificio.
Sorvegliavano i lavori due deputati che avevano il compito di intervenire ogni qual volta la costruzione non procedesse secondo il piano di esecuzione, il disegno e il capitolato d’appalto, redatti dall’ing. Dassi. In uno di questi interventi del 16 ott. 1827 i deputati fecero notare come lo spazio destinato al funzionamento della campana grossa, che misurava sei palmi e mezzo d’altezza e cinque palmi e mezzo di larghezza, alla bocca, non fosse sufficiente.
Coadiuvava i deputati un deputato assistente ai lavori, un capomastro muratore di provata esperienza e serietà, che si dimostrò di grande utilità nel corso dell’edificazione.
Su segnalazione di questi, ordinato dall’autorità tutoria, fu effettuato dalla magistratura, unitamente ai deputati, un sopralluogo alla torre, la cui cuspide si stava costruendo con malta diversa da quella prescritta dal progettista.
Notevoli i contrasti tra l’appaltatore ed il comune per motivi di carattere finanziario, alcuni, di carattere tecnico, altri.
Il Principe non portò a termine l’opera, che fu continuata fino al 1832 da Pacifico Capriotti di Torchiaro.
In quell’anno non era stato ancora costruito il castello che doveva sostenere la campana grossa, ma l’opera poteva dirsi ormai compiuta.
Non tardò a venire il giorno in cui l’orologio e la campana ricominciarono a battere le ore per “il benessere della popolazione”.
A mezzogiorno, dodici rintocchi consecutivi, lenti e solenni, ricordavano al popolo pio i dodici apostoli che accompagnarono Gesù nella sua tragica avventura terrena.
Nelle campagne i contadini interrompevano il lavoro e pregavano”.

 

thumb_Torre2       thumb_Torre-interno
 

Questo il programma della manifestazione che si svolgerà nella piazza della Rocca il 10 luglio prossimo:

ore 18:15: saluto del sindaco Luca Tomassini; Saluto delle autorità; Taglio del nastro; Benedizione impartita dal parroco don Primo Pennacchioni.
ore 18:30-20:30: visita guidata della Torre Civica.
ore 20:15: buffet
ore 21:15: spettacolo della “Compagnia dei Folli” – “La Caduta dell’Arcangelo Lucifero”.
ore 22:30: accensione della nuova illuminazione panoramica della Torre Civica.

da "Il Mascalzone"

Informativa: questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy. Chiudendo questo banner, o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie. Cookie policy