foto picenobelloMentre le macerie ancora ostruiscono quasi tutti i paesi, mentre gli allevatori protestano perché manca l'acqua per le bestie e continua a non piovere, mentre lo spopolamento dell'Appennino continua ed i giovani sono costretti ad andare altrove perché non trovano lavoro, mentre la ricostruzione è partita solo per alcuni "predestinati", tutte le attrazioni sono concentrate sulla "fioritura di Castelluccio".
A cinque anni dal sisma che ha devastato la dorsale appenninica tra Abruzzo, Lazio, Marche ed Umbria è tempo di tornare a pensare al futuro di questa terra è, soprattutto, tempo di dare nuova voce alle vittime del terremoto. Nei centri storici più importanti è già stato fatto molto, si vedono tanti cantieri ed il ritorno alla normalità si fa sempre più concreto. Nelle frazioni, invece, la situazione è disperata, la ricostruzione è ancora un miraggio per molti.
Questi paesini, un tempo ridenti e pieni di vita, sono sempre circondati da una natura sorprendente, ma di fatto sono quasi del tutto rasi al suolo, con le case ancora dilaniate, le chiese diroccate, con le erbacce che crescono ovunque. Questo spettacolo non costituisce una bella immagine del territorio e non è un invito a tornare. Non riaprono gli agriturismi ed i bed & breakfast, non riaprono gli alimentari ed i bar, non ci sono case in affitto per l'estate.
Tutto questo crea il problema della disoccupazione, per cui tanti giovani non trovano stabilità. Allora ci si aggrappa all' unico fenomeno naturale che crea un movimento di massa: l'arci-famosa e mitica "Fioritura della Piana di Castelluccio". Tutti puntano sul passaggio dei veicoli in transito verso la fioritura colorata dei piani e così lo spettacolo cromatico, spesso taroccato in modo inverosimile sui social, è diventato un durissimo braccio di ferro tra i Comuni della zona, è scoppiata la guerra degli accessi alla Piana ed i vari satrapini locali si sono ritrovati ancora una volta sulla breccia, hanno di nuovo cavalcato l'onda per trasformare un semplice caso di destinazione turistica delle aree di sosta che avrebbe dato a tutti la possibilità di guadagno, sfruttando adeguatamente il flusso turistico, in un caso di semplice strumentalizzazione politica in cui tutti fingono un assurdo campanilismo non più adeguato in questi tempi di globalizzazione.

Ed ecco, allora, che l'autentico spettacolo naturale, dal profondo fascino, che va dal rosso dei papaveri al blu dei fiordalisi della "fioritura" diventare una specie di guerra di proclami ed accuse per accaparrarsi l'ambito transito turistico, visto non come caotico ed inquinante elemento di disturbo, ma come nuovo Eldorado del post-pandemia. "Quando il dito indica la luna, lo sciocco guarda il dito", diceva il vecchio adagio di un saggio dell'antica Cina. Infatti, tutto ciò non è che un piccolo problema, un semplice palliativo che non va a risolvere la grande questione che da cinque anni ha messo in ginocchio l'economia e la vita dell'Appennino Centrale. Questa è la prova che non si vuole risolvere il problema alla fonte ma si vuole trasformare la nostra terra in una specie di luna park naturalistico, passando da un'economia basata sull'attività agro-silvo-pastorale ad un'altra più adatta alla civiltà dei consumi: il turismo "usa e getta".
Una storia che solo chi viene qui può raccontare e che ci porterà ad un nuovo futuro, ad una diaspora, a nuovi insediamenti e ad una colonizzazione di convenienza che niente ha a che fare con i vecchi insediamenti funzionali. Chi vivrà vedrà...


Vittorio Camacci

Informativa: questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy. Chiudendo questo banner, o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie. Cookie policy