Prefazione: questo racconto è ambientato in quello che oggi è il territorio di Arquata del Tronto, tra l' Altopiano del Monte Cività ed il bosco delle Macchie, il terzo giorno dopo il solstizio d' inverno nel 333 a. C. In quel tempo la nostra terra era abitata da tribù Celtiche del Nera, Sabini e Peligni la loro lingua era il dialetto osco - umbro e quello sabellico.

notte sacra 640x480"La neve ha un odore cristallino, una traccia flebile percettibile appena, fuori della capanna, che solo il freddo dell’altipiano blocca dopo un po' di tempo anestetizzando bocca e naso. La neve ha anche un sapore, un gusto dolce e fresco ed è leggera come una carezza quando si posa sulla pelliccia. Ha anche un suono, ovattato e silenzioso con lo strano scricchiolio degli stivali di pelle che affondano nel bianco. Ma il suo colore non è solo bianco, a guardarla bene, dopo un po' non è uniforme come sembra. È un infinito mistero di grigi-azzurri. Un colore fatto di mille sfumature, di segreti". Questo pensava, incredibilmente, Luan, mentre era in mezzo alla radura innevata, vicino la roccia sacra che guariva il mal di pancia, di schiena e diverse malattie, con gli altri uomini della tribù, che stretti in mantelli di pelliccia cantavano una nenia, intrecciando le voci profonde allo stridio delle civette. Erano disposti in una strana spirale, all' interno ondeggiavano gli anziani, appoggiati alle lunghe lance, mentre all'esterno i giovani si concentravano ad occhi chiusi, con gli archi incastrati alle faretre poggiate di traverso sul busto. Luan era il più giovane, l’unico che sbuffava per il freddo e si guardava spesso attorno, incantato dalle entità che brulicavano nella notte. Uno scappellotto del fratello maggiore ed un’occhiata severa del nonno lo riportarono all' ordine. Il bosco intorno era coperto di neve, una coltre cristallina che rifletteva la luce argentea della luna. Queste erano le notti più lunghe dell’anno e questa cerimonia serviva a non far perire il mondo nel buio di un eterno inverno: invocando le forze della natura gli "Illuminati" della tribù avrebbero fatto tornare la primavera ad illuminare la vita. Questa era la "Oiche Naofa", la "Notte Sacra", in cui le creature della foresta gioivano e rendevano grazie. Gli orsi sospiravano nel loro letargo, i cervi bramivano possenti e i lupi ululavano in lontananza. Il nonno aveva detto a Luan che a mezzanotte lo spazio ed il tempo sarebbero combaciati in un solo luogo ed istante, un battito di cuore verso l'infinito che avrebbe aperto una breccia nel futuro. L'anziano sacerdote s' inginocchiò nella neve, seguendo il fluire del suo respiro per poi accordarlo con il ritmo sempre più ossessivo della nenia cantata. Luan approfittò della distrazione degli altri per sgattaiolare all' inseguimento del suo piccolo lupacchiotto addomesticato, l'animale piroettava accarezzato dalla brezza della notte, zampettava veloce, ma non appena il padroncino restava indietro si fermava ad attenderlo rotolando impaziente. Rincorrendosi raggiunsero il margine occidentale dell’altipiano, dove il giovane si fermò a riprendere fiato. Un rumore lo spinse ad acquattarsi dietro una roccia con il cuoricino che batteva impetuoso. Vide un plotone di uomini armati di corte spade e lance marciare al seguito di un’asta di legno sulla quale un'aquila di bronzo sembrava spiccare il volo. Nel contempo il nonno percepì il proprio corpo dissolversi nella nenia cantata mentre la sua mente si spalancava nel flusso del tempo. Le stelle del cielo erano sempre quelle della "Oiche Naofa" ma quello che lo circondava era diverso: alberi artificiali, senza vita e senza profumo, coperti di sfere dorate ed argentate, brillavano di gelide fiammelle cangianti. Persone vestite di strani abiti che tra le mani stringevano pacchi colorati, consumate dalla frenesia e dalla cupidigia, si aggiravano per strade di colore nero illuminate da mille luci lattee che inondavano ogni cosa. Ad un tratto nel cielo apparve un vecchio pazzo, vestito di carminio, che con una risata rimbombante guidava un’enorme slitta frustando nobili animali dalle lunghe corna, simili a cervi. L'anziano gridò terrorizzato, riaprì gli occhi e vide i volti preoccupati degli altri "Illuminati" della tribù chini sul suo corpo ancora in preda alle convulsioni. Gli raffreddarono la fronte con la neve e recitarono strani incantesimi per riportare la sua mente alla calma. "Cosa hai visto Venerabile Maestro?" Osarono chiedere titubanti non appena il vecchio druido smise di tremare. "Sono stanco, riportatemi alla mia capanna, domani vi racconterò!" Poi si guardò attorno preoccupato: " Dov' è mio nipote Luan? Trovatelo!" Il giovane era appena tornato nella radura e corse ad abbracciare il nonno. Il vecchio si appoggiò con la mano sinistra sulla spalla del ragazzo mentre con la destra teneva il suo grande bastone ricurvo. Si avvicinò sfiorando con la lunga barba bianca l'orecchio di Luan e gli sussurrò: "Ho visto la "Oiche Naofa" del futuro, tra molti anni si chiamerà Natale !" E scoppiando in una sonora risata commentò: "Aaaaahhh ...Cose da pazzi, cose da pazzi!"

Vittorio Camacci

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